Tra i remoti e inaccessibili monti Hengduan incuneati tra Tibet e Birmania gli alberi relitti dell'era glaciale
BARCELLONA (Spagna) - «Ho sempre avuto passione per la Cina e la sua cultura, mai però avrei pensato di trovarmi davanti non solo a fossili viventi ma anche alla culla di nuove specie». Si entusiasma Jordi López Pujol quando racconta della sua esperienza tra i monti Hengduan, paradiso botanico cinese incuneato tra Tibet e Birmania. Il ricercatore catalano, che ha recentemente pubblicato articoli su Mountain Research and Development e Journal of Biogeography, grazie a una borsa di studio nel 2006 si trasferì per due anni a Pechino. «Avevo già avuto contatti con i botanici cinesi per studiare una pianta che è considerata a rischio di estinzione, la Clematis acerifolia, e quando andai in Cina mi resi conto che dal 1960 al 1980, a causa delle vicissitudini politiche, il Paese aveva in pratica completamente abbandonato la ricerca scientifica». Inseritosi dunque nel gruppo di studio di Pechino, iniziò ad analizzare la flora autoctona di venti rifugi, situati in gran parte nel sud della Cina e considerati i luoghi dove si conservano i fossili viventi della flora mondiale boreale.
I fossili viventi della flora cinese
I
«RIFUGI» - «Risalgono all’epoca Terziaria e Quaternaria», racconta Lopez Pujol, «e sono riusciti a sopravvivere grazie alla protezione naturale delle inaccessibili montagne Hengduan; la nascita del Tibet e la formazione delle catene montuose che separano in profonde vallate parallele i tre principali fiumi della Cina meridionale (Yangtze, Mekong e Salween) hanno creato inoltre nuovi habitat che hanno favorito la speciazione». «La maggior parte di queste specie hanno cicli di vita molto lunghi», prosegue il botanico. «Alberi centenari come la Cathaya argyrophylla, la Metasequoia glyptostroboides, la Taiwania cryptomerioides, la Eucommia ulmoides e la Glyptostrobus pensilis, o addirittura millenari come il Ginkgo biloba, che può vivere più di 3 mila anni: sono quasi tutti generi che apparvero sulla Terra almeno 100 milioni di anni fa».
GLACIAZIONI - Tra la fine del Terziario e l’inizio del Quaternario il clima divenne globalmente più freddo. Le condizioni climatiche più dure portarono all’estinzione di queste specie nel resto dell’emisfero nord, ma tra queste montagne dell’area subtropicale cinese hanno trovato il loro rifugio ideale. Un’altra caratteristica importante dei rifugi, rimasti al margine delle grandi calotte delle ere glaciali che coprivano buona parte dei continenti, è che non solo hanno permesso la sopravvivenza di questi «dinosauri botanici», ma tutt’ora hanno la funzione di culla per nuove specie, generando fenomeni di speciazione e differenziazione dovuti probabilmente alle particolari condizioni storico-geografiche delle regioni coinvolte.
ENDEMISMI - La metodologia di questa ricerca sull’evoluzione della flora cinese, che ha permesso di coprire un vuoto sulle conoscenze botaniche in Cina, è stata quella di delineare le aree di endemismo come indicatore indiretto dei rifugi quaternari: la provincia più occidentale di Sichuan, l'angolo nord-occidentale della provincia dello Yunnan e la parte orientale della regione autonoma del Tibet; le catene montuose a sud confinanti con la Birmania e la Repubblica popolare cinese. Per fare questo, i ricercatori hanno costruito un database di specie endemiche e oggi la loro distribuzione è mappata. Queste piante paleoendemiche (dette anche relitte perché derivano da specie antiche e isolate, a differenza delle neoendemiche che sono quelle di formazione più recente) sono caratterizzate dalla presenza di organi floreali grazie ai quali si riproducono tramite la formazione di semi. Tutte le specie studiate (più di 500 campioni prelevati) sono piante che fanno semi, ma non tutte sono piante con fiori, di fatto la maggior parte delle specie relitte non ne hanno, salvo E. ulmoides.
IL GINGKO E I MONACI BUDDISTI - «Tra le piante che ho studiato, mi ha incuriosito il fatto che il Ginko biloba fosse cosí diffuso nella regione perché quasi tutte le piante relitte hanno difficoltà a propagarsi a causa dell’indebolimento genetico dopo milioni di anni. E sono particolarmente diffusi presso i monasteri buddisti dove i monaci ne sfruttano le proprietà curative». Sia G. biloba che E. ulmoides, piccolo albero coltivato per la corteccia e il lattice, fanno parte delle 50 erbe fondamentali della medicina tradizionale cinese.
BIODIVERSITÀ - Per questo botanico catalano, la ricerca rappresenta uno strumento efficace per individuare le tecniche specifiche per rinforzare o reintrodurre specie vegetali e proteggere la biodiversità della flora e dell’ambiente. «I rifugi del passato sono le aree più adatte a costituire i rifugi del futuro, e questo è particolarmente significativo nel contesto di cambiamento del clima globale attuale; bisogna attivare con urgenza un programma di conservazione che dovrebbe garantire la custodia delle caratteristiche paesaggistiche, mantenendo il più intatto possibile l’ambiente, per salvaguardare quei processi che generano e difendono la biodiversità».
Giuliana Del Latte
tratto da
http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/