Greenpeace non perde tempo e, a poca distanza dalla battaglia stellare contro le emissioni di Volkswagen, pubblica un nuovo report di denuncia “Dirty Laundry 2”, nel quale accusa i grandi marchi di utilizzare nelle proprie produzioni sostanze chimiche pericolose per la salute umana, tra i quali i nonilfenoli etossilati.
I nomi interessati dalla
denuncia fanno tremare il mondo
della moda, perché si parla di Adidas, Uniqlo, Calvin Klein, Li Ning,
H&M, Abercrombie & Fitch, Lacoste, Converse e Ralph Lauren,
tutte
multinazionali che hanno spostato le basi produttive in
Cina, Filippine e Malesia, paesi in cui è sempre più difficile ottenere
controlli serrati sui
metodi di produzione e sulle condizioni di lavoro.
«I nonilfenoli - ha spiegato la portavoce di Greenpeace,
Li Yifang, - possono contaminare la catena alimentare ed essere assunti dagli
organismi viventi, minacciando così la loro
fertilità, il loro sistema di riproduzione e la loro crescita. Non è solo un problema legato ai
Paesi in via di sviluppo,
dove vengono fabbricati i tessuti - ha aggiunto l’esperta - quantità
residue di Npeo vengono rilasciate ogni volta che i vestiti vengono
lavati e si diffondono anche nei Paesi dove l'uso di queste sostanze
chimiche sono vietate».
È di soli 30 giorni fa, infatti, la pubblicazione di “Dirty Laudry”, primo dei due report, accompagnato dalla campagna Detox di Greenpeace, volta proprio ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui materiali tossici utilizzati da alcune aziende tessili nella produzione di abiti e accessori firmati.
Nel mirino, in particolare,
Nike e
Adidas, ritenute collegate alle attività industriali di due colossi cinesi impegnati nel settore tessile:
Youngor Textile Complex e
Well Dyeing Factory Limited. «Le industrie tessili moderne - spiega l'associazione - da tempo hanno
cominciato a spostare i propri impianti da un Paese a un altro con
l’unico obiettivo di
ridurre i costi di produzione. Questo settore impiega molte
sostanze chimiche pericolose
durante varie fasi del processo produttivo, come tinteggiatura,
lavaggio, stampa dei tessuti: la produzione tessile è considerata fra le
maggiori cause dell’
inquinamento delle acque cinesi».
Greenpeace ha prelevato campioni di acqua presso gli scarichi delle due industrie orientali, rispettivamente situati lungo il delta del fiume Yangzte,
risorsa idrica che fornisce acqua potabile a circa 20 milioni di
persone, e lungo il fiume delle Perle: i risultati delle analisi hanno
confermato la presenza di alchilfenoli e composti perfluorurati, pericolosi perché alterano il sistema ormonale dell’uomo e agiscono anche a basse concentrazioni. Trovati anche metalli pesanti come cromo, rame e nichel.
La posizione dell’associazione ambientalista è chiara: il fatto che la
Cina non abbia ancora adottato una legislazione idonea a gestire l’uso e il rilascio di
composti pericolosi nell’ambiente, non legittima le due multinazionali a non curarsi dell’
impatto nocivo delle
proprie attività, soprattutto considerando che Nike e Adidas acquistano
prodotti cinesi per i propri prodotti sportivi, contribuendo
pesantemente a tali
scarichi tossici.
«Se le aziende vogliono risolvere davvero il problema – spiega
Greenpeace - devono prima di tutto adottare una chiara
politica chimica, fatta di
monitoraggi periodici
e scadenze precise, per ridurre e infine eliminare l’uso di composti
pericolosi lungo l’intera catena di rifornimento».
tratto da
gogreen