Mistero sulla Murgia le auto a folle risalgono la pendenza
di Nicola Curci
POGGIORSINI - I fungaroli
a caccia di cardoncelli e cosche passano davanti a un vecchio epitaffio
sulla Murgia, a pochi chilometri in linea d’aria da Castel del Monte.
Qualcuno si segna, un altro passa senza guardare. Molti non sanno
nemmeno a cosa rimandi quella croce nera. Un luogo misterioso, quanto
misconosciuto. Una caligine di mistero che protegge il dubbio.
Basta
parcheggiare la macchina proprio davanti al cippo per rendersi conto
che la logica della fisica tradizionale finisce davanti
all’insostenibilità del portento. Motore spento, marcia in folle,
nessun freno inserito ed anche un pesante autocarro inizierà a scalare
a passo sostenuto quello che, anche il rigoroso livello a bolla d’aria,
ci rivela essere un leggero pendio. Senza trucco e senza inganno.
Potere
della suggestione o c’è dell’altro? Quello spicchio di steppa pugliese
detta Murgia ha memoria di strane coincidenze, tutte marcate con
decisione sul quaderno della storia.
L’incidenteLa lancetta
dell’orologio del tempo si sposta indietro, alle 20,40 del 30 ottobre
del 1972. È buio pesto quando un Fokker F27, il volo di linea 327 ATI
proveniente da Roma verso Bari si schianta sulla Murgia, tra Corato e
Poggiorsini, contro la stalla di un complesso colonico a Masserie
Nuove. Perdono la vita 27 persone (22 passeggeri e 5 membri
dell’equipaggio). Salva per miracolo un’intera famiglia di coloni,
quella del 51enne coratino Giuseppe Rutigliano, che pranzava con sua
moglie, la 47enne Eugenia Tarantino, ed il piccolo Paolo, di soli 10
anni. Il Fokker termina la sua corsa distruggendo la stalla della
masseria, uccidendo circa 200 tra pecore e vitelli. I cronisti,
arrivati sul posto poco dopo i soccorsi, descrivono l’atmosfera come
assolutamente surreale, stridente nei contrasti. «Una scena
terribile, - ricorda Antonello Ambruosi, all’epoca giovane cronista -
una vera tragedia. Per superare il cordone di polizia e carabinieri
dovemmo aggirare la masseria a piedi nel buio pesto. Ci capitò di
passeggiare sui rottami nostro malgrado e, forse, di schiacciare anche
qualche cadavere. Ma la scena più sinistra era costituita dalla visione
delle pecore, nella stalla. Ancora su quattro zampe. Ma carbonizzate.
Nessuno capì nulla di quello che era realmente accaduto, si fecero
tante congetture. Ma il fatto restò avvolto nel mistero».
Per
davvero. L’altimetro, che funzionava, segnalava la quota esatta, 1.450
piedi, ossia 460 metri sul livello del mare. Il bollettino meteo non
parlava di turbolenze, il cielo stellato, la voce del pilota che aveva
comunicato «pista in vista» a 50 km circa dall’atterraggio, nonostante
le condizioni di visibilità ottimali. Tutte argomentazioni troppo
stridenti con quello che accadde.
Si finì per dare la colpa al
pilota, Giuseppe Cardona, palermitano, veterano del volo, il cui corpo
venne trovato fuori dalla cabina, in prossimità della coda del
velivolo, dando vita a congetture strane sugli ultimi istanti del
Fokker. Poi ogni altra supposizione venne congelata. Ed il caso venne
mandato in archivio.
Strane coincidenzeAnche se nessuno mai si
disse abbastanza soddisfatto dall’esito delle indagini parallele della
Direzione aeroportuale di Bari e delle procure di Trani e Bari,
coordinate dai magistrati Piccarreta e Bisceglia. Erano, infatti,
passati solo 17 giorni dal disastro aereo delle Ande, in cui perirono
29 persone a bordo del volo 571 della Fuerza Aerea Uruguaya che
trasportava in Chile una squadra di rugby. La storia dei 16
sopravvissuti, salvati due mesi dopo, è arrivata a noi attraverso la
cinematografia. Ma nessuno pensò che, anche per quel disastro, si
trattava di un Fokker F27, attrezzato con un sistema di navigazione
uguale a quello dell’incidente pugliese, il cosiddetto Vor (Vhf
Omnidirectional Range), che ha costituito, fino alla rivoluzione del
Gps, lo standard di navigazione aerea per voli a corto e medio raggio.
Un sistema ritenuto sicuro, ma pur sempre condizionato dal magnetismo
terrestre.
L’osservatorio Bendandi di Faenza, a tal proposito,
parlò di influsso nefasto di una tempesta solare sulla sciagura del 30
ottobre, azzardando una congettura suggestiva per i tempi. Affascinante
come quella del «disco rosso», un oggetto volante misterioso avvistato
da un testimone a poche decine di minuti dalla caduta del Fokker nei
cieli di Corato, dettaglio che venne inserito nel corposo faldone
d’indagine dal direttore dell’aeroporto di Bari, Mario Cascella.
La
seduzione misterica dei luoghi, poi, ha fatto il resto. A 200 metri
dalla masseria centrata dall’aereo giace la necropoli di San Magno,
misterioso complesso di tumuli funerari dell’Età del bronzo ancora
parzialmente da indagare. L’occhio attento scorge in lontananza la
sagoma inconfondibile del Castel del Monte, un’icona del dubbio ed un
trattato architettonico di alchimia ed esoterismo. Ad un tiro di
schioppo, la più grande polveriera d’Europa, quella di Poggiorsini, ed
almeno tre siti nucleari. E, nella memoria collettiva, le tante storie
di pastori che cianciano ancora di una grande collina cava, proprio tra
le tante alture steppiche, un sesamo stipato di improbabili aggeggi.
Il
misteroL’arcano resta in piedi gagliardo, anche grazie ad un
autovettura che si muove da sola, in un luogo misterioso, nel cuore
della Murgia nucleare. Potere della suggestione, o c’è davvero qualcosa
di più? «L’unico modo per fugare i dubbi - precisa Riccardo
Losito, geologo andriese, profondo conoscitore della Murgia - è quella
di procedere scientificamente, effettuando misurazioni sui luoghi e
cercando di capire se siano o meno interessati da fenomeni di
magnetismo terrestre. L’esistenza di un forte campo magnetico
spiegherebbe tutto. Forse».
E forse qualcuno controllerà,
incuriosito da questo intrigante patchwork che seduce e rimanda alla
condizione oscura del mistero. Già, il mistero, «la fonte di ogni vera
arte e di ogni vera scienza». Così, almeno, la pensava Albert Einstein.
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