ROMA - Il buco nell'ozono si va richiudendo. Forse. Ma sarà un bene? Sulla questione si stanno interrogando scienziati di mezzo mondo. Con l'obiettivo di capire se il "rattoppo" nell'atmosfera provocherà conseguenze negative o positive sul riscaldamento globale.
Del buco nell'ozono si parlò molto - e con grande preoccupazione - negli anni '80 e '90, poi il problema è passato quasi nel dimenticatoio. Eppure ancora durante l'inverno australe di 3 anni fa aveva raggiunto il record per dimensioni (circa 9 volte la superficie dell'Italia) e durante l'ultimo inverno era solo di poco più piccolo (25 milioni di km/quadrati contro i 27 del 2006-07) e aveva anche raggiunto i minimi valori di densità presenti sull'Antartide. Nell'ultimo decennio poi si è registrata anche una diminuzione dell'ozono a latitudini inferiori a quelle polari, fino a raggiungere quelle intermedie.
L'ozono è una fascia dell'atmosfera posta tra i 20 e i 50 km di quota dove vengono assorbiti i raggi ultravioletti provenienti dal Sole, i quali, se arrivassero in maggiori quantità sulla superficie terrestre, sarebbero assai dannosi per l'uomo e per la vita in genere. Erano stati i CFC (clorofluorocarburi) immessi dall'uomo nell'atmosfera a provocare reazioni chimiche tra il cloro e l'ozono (che è una molecola composta da 3 atomi di ossigeno) distruggendolo. Poi con il Protocollo di Montreal, nel 1987, tali sostanze vennero messe al bando. Negli ultimi anni da più parti, nel mondo scientifico, si sostiene che tale iniziativa stia permettendo la ricostruzione dell'ozono atmosferico, tant'è che le previsioni sostengono che entro pochi decenni esso dovrebbe tornare a livelli che si registravano prima degli anni '70.
Ma ora un recente studio dimostra come i gas che producono l'effetto serra sul nostro pianeta interferiscono notevolmente con la ricostruzione della fascia d'ozono e quel che succederà nei prossimi anni non è del tutto chiaro. Il modello proposto da Feng Li, un ricercatore dell'atmosfera del Goddard Earth Sciences and Technology Center della Nasa, mostra come in alcune parti del pianeta l'ozono potrebbe raggiungere valori di densità superiori a quelli che vi erano decenni or sono, ma in altre e non necessariamente solo sull'Antartide, potrebbe rimanere assai ridotto. Sarebbe dunque, più che una ricucitura, un "rappezzo" dell'atmosfera. "Se nel modello al computer si considerano solo i composti del cloro, allora il buco nell'ozono lo si vede effettivamente ricucirsi entro pochi decenni, ma se si tiene conto di tutti i fenomeni che impattano sull'atmosfera, soprattutto dell'anidride carbonica e del metano, allora le cose non sono così semplici", ha spiegato Li, il cui studio è pubblicato si Atmospheric Chemistry and Physics.
Del fatto che dell'ozono si conosce ancora poco ne è testimonianza un'altra ricerca del British Antarctic Survey e della Nasa che è stata pubblicata sull'ultimo numero di Geophysical Research Letters. Secondo John Turner, responsabile dello studio, il buco nell'ozono avrebbe una particolare influenza sulla crescita dei ghiacci in alcune aree attorno al continenti antartico, dove numerose lingue di ghiaccio marino crescono anziché diminuire, come avviene nel resto del pianeta. "Abbiamo potuto verificare che la minor quantità di ozono degli anni scorsi ha alterato la circolazione dei venti che ruotano attorno all'Antartide e questo ha portato alcuni di essi, molto freddi, a creare le condizioni di gelo intenso al punto da impedire al ghiaccio che scende dal continente verso il mare di sciogliersi una volta raggiunta la superficie marina".
Anche di questo, dicono gli scienziati, bisognerà tener conto nel momento in cui il buco dell'ozono dovesse tornare effettivamente a richiudersi.