08/02/15
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Scoperto il ruolo del Dna "spazzatura"
Anche degli italiani nello studio che fa luce sulla metà oscura del nostro genoma
ROMA
Vietato, d’ora in poi, chiamarlo Dna “spazzatura”. Quella metà del nostro genoma, snobbata perchè costituita da sequenze di Dna ripetute centinaia di migliaia di volte che sembravano prive di significato, in realtà risponde a un preciso programma genetico.

E contribuisce in maniera decisiva a dare un’identità alle diverse cellule dell’organismo umano. La scoperta, pubblicata su Nature Genetics, è frutto di una collaborazione internazionale, a cui hanno partecipato anche ricercatori italiani. 

Lo studio è opera del gruppo di lavoro del Laboratorio di epigenetica del Dulbecco Telethon Institute, guidato da Valerio Orlando e ospitato dall’Irccs Fondazione Santa Lucia e dall’Ebri (l’istituto europeo per la ricerca sul cervello, fondato dal Nobel Rita Levi Montalcini); del team di Piero Carninci dell’Omics Centre del Riken di Yokohama in Giappone; dell’Università di Queensland in Australia. In Italia la ricerca è stata finanziata da Telethon, dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e dalla Compagnia di San Paolo. 

Il lavoro - sottolineano i ricercatori - segna una «tappa storica» nella ricerca genetica, svelando come il “lato oscuro” del genoma si comporti esattamente come i geni, che invece rappresentano soltanto il 2% dell’intero genoma. Non solo: quelle sequenze ripetute sono essenziali per il corretto funzionamento dei geni. 

La scoperta potrà contribuire all’analisi di tutti quei meccanismi che agiscono al di sopra dei geni (detti epigenetici) e che potrebbero influenzare, tra l’altro, la diversa manifestazione delle malattie tra singoli individui, la risposta individuale ai farmaci o, in casi particolari, l’applicabilità della terapia genica.

L’equipe ha dimostrato che alcune di queste sequenze vengono trascritte in precisi momenti della vita cellulare, per esempio durante le prime fasi dello sviluppo o il differenziamento. Altre sono in grado di inserirsi in prossimità dei geni e di regolarne l’attività: in alcuni casi, questo può avere anche effetti patologici importanti, come la trasformazione della cellula sana in una tumorale. 

Per la prima volta si dimostra, in pratica, come tali sequenze si comportino secondo un programma definito e in grado di influenzare la vita delle cellule. L’origine evolutiva delle sequenze ripetute - che rappresentano ben il 45% dell’intero genoma - va ricercato nei trasposoni, particolari segmenti di Dna che hanno la capacità di spostarsi da una parte all’altra di un cromosoma, oppure da uno all’altro. Svolgono un ruolo importante dal punto di vista evolutivo, perchè data la loro natura mobile sono in grado di creare variabilità e, potenzialmente, di far acquisire o perdere funzioni biologiche.

Già sessant’anni fa la biologa americana Barbara McClintock lo aveva intuito. Oggi, grazie soprattutto alle sofisticate tecnologie disponibili e alle competenze multidisciplinari, il gruppo di lavoro internazionale è riuscito a verificare tale ipotesi, riabilitando questa grossa porzione del nostro Dna. 





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