La felicità, il benessere, la gioia sono direttamente proporzionali alla
capacità di vivere nel momento –
parola di >>>Science – non di un qualche mistico o ricercatore spirituale di turno.
Si tratta di uno studio recente – con tanto di campionatura d’inchiesta – che dimostra la connessione tra il vagare della mente e la condizione d’infelicità. Una ricerca che ha scomodato addirittura Science, la più autorevole tra le riviste scientifiche. Come dire che la scienza ce la sta mettendo tutta per avallare ciò che i meditatori, i saggi e le tradizioni filosofico-religiose sostengono da sempre.
«Le persone – attesta lo studio riportato nella versione italiana da Le Scienze – passano il 46,9 per cento del loro tempo di veglia pensando a qualcosa di diverso da ciò che stanno facendo, e questo vagare della mente le rende insoddisfatte». E ora che l’hanno dimostrato i due psicologi Matthew A. Killingsworth e Daniel T. Gilbert della Harvard University si può esser certi.
E dai dite la verità che ve ne eravate accorti? La massa critica di coloro che se ne sono resi conto è a sua volta direttamente proporzionale al rendersi possibile di questa inchiesta e dell’articolo che ne segue, sulla rivista scientifica per eccellenza.
E c'’è da brindare, da alzare i calici, sissignori.
E il restante del tempo? Sono allora presenti con la mente a ciò che fanno e a dove sono? E a chi sono mentre fanno? Be, questo i due psicologi non ce lo dicono. E voi, non siete curiosi di scoprirlo osservando la vostra mente?
Di default,
la mente umana abbandonata a se stessa, vaga, si sposta verso eventi del passato o verso quelli immaginari nel futuro, perdendo il contatto con il presente e lasciando il pilota automatico a sbrigare le faccende. Si comporta così. E non solo. Trattandosi di un’attività del
cervello quello che vagando costruisce sembra vero al punto che ci pare oro colato, provocando uno scollamento da se stessi e un dispendio di energie tali da suscitare disagio, insoddisfazione, infelicità.
Vogliamo prendercela con il cervello? Con la mente perché si comporta così? Ce lo dice anche Science su un campione di 2250 volontari che il vagare della mente è presente più o meno in ogni attività. E allora?
Possiamo per es. chiederci: c’'è qualcosa da imparare?
Secondo questo studio, quando provo insoddisfazione, è assai probabile che la mente stia vagando invece di essere centrata sul momento e su ciò che è nel momento.
Come mi accorgo che la mente sta vagando e che – variante fondamentale non contemplata – sono puntualmente nel “buco nero” delle sue trovate? Dall’infelicità che provo.
Vagare è una delle sue caratteristiche e come tale non è tanto il suo vagheggiare a renderci infelici. Sarebbe come dire che mi rende infelice la peristalsi intestinale. L’insoddisfazione nasce dal credere ai sui vagheggiamenti come se fossero reali e a gratis. Il prezzo, di fatto, e lo studio lo dimostra, è l’infelicità.
«La nostra vita è pervasa, in misura davvero notevole, dal ‘non-presente’» dice Killingsworth. Probabilmente intendeva: è pervasa dalla tendenza a essere assenti. Grande! E mi venite a dire che viviamo in tempi oscuri? Che l’uomo è una bestia etc.etc… Le bestie, lo afferma anche lo studio in questione, a differenza dell’uomo non conoscono il divagare e, del resto, inclusa nel pacchetto, neanche l’opportunità di accorgersi se sono o no presenti e che sono infelici quando non lo sono. Sono in
modalità pilota automatico sempre e si è bestie quando la
meccanicità diventa la prassi, questo è deducibile. E potrebbe anche funzionare, come funziona per loro, se fossimo semplicemente animali ma siamo animali umani provvisti di
neocorteccia e con essa della capacità d’indagine e
d’introspezione.
Altro elemento interessante che emerge dallo studio: «In media, gli interrogati riferivano che la loro mente stava vagando il 46,9 per cento delle volte, senza mai scendere sotto il 30 per cento, con la sola eccezione di quando come attività indicavano “
fare l’amore”». O bella, ma guarda te. Basterebbe solo questo a farne un atto eccelso e un terreno d’indagine per eccellenza.
Peccato che, per i più, duri poco, quella felicità, mentre la possibilità di riconoscere, dall’insoddisfazione provata, che la mente sta disertando il momento presente – e, ops, esserci nel presente, per gioco forza, nell’accorgersene – è a disposizione in ogni momento di veglia, da soli o in compagnia, lavorando, camminando e giocando a shangai.
Lo studio ci rende disponibile un altro elemento importante e un’altra opportunità: «La ricerca ha inoltre rilevato che le persone erano più felici quando facevano l’amore, facevano
esercizio fisico o stavano conversando, mentre erano maggiormente insoddisfatte quando riposavano, durante il lavoro, e quando usavano il computer di casa».
Il fare l’amore e l’esercizio fisico (che notoriamente, spesso, ahimé, si equivalgono) hanno una variante in comune, il corpo in movimento, la sollecitazione a stare nel corpo. Altro indicatore: quando si prova insoddisfazione, conviene sgranchirsi, muoversi, scuotere il corpo, alzarsi dalla sedia o che altro e mettere il corpo in movimento. Questo permette di “ritrovare” il corpo e il respiro. Il corpo è sempre e solo nel momento presente.
Fare all’amore rimane in testa alla classifica poiché potenzialmente è
l’atto più meditativo che ci offre la natura. Ammesso che ci rendiamo conto di quanto naturale sia. O, l’altra parte della medaglia: il più meccanico.
Va poi a capire perché la gente è più felice mentre conversa. Che sia perché la mente conversando vaga di meno? Sì, se si è veramente in ascolto. Altra possibilità è che essendo impegnati nella conversazione sia più difficile accorgersi del vagheggiamento. A mio avviso qui il rigore scientifico dello studio fa acqua e entra in funzione il vecchio detto: mal comune mezzo gaudio. Ovvero le due menti vaganti si assommano scaricandosi in altrettanti vagolamenti discorsivi che aggirano il presente. Eccezioni a parte. Che la soddisfazione, allora, stia nel cinguettare insieme del passato e del futuro più che nell’essere nel momento presente? Essere presenti mentre si conversa è nella mia indagine, una bella prova.
E voi che ne dite? Che cosa scaturisce dall’esplorazione di voi stessi?
Inoltre, se questo “
disturbo della felicità” è stato isolato, se tanto mi da tanto, tra poco si parlerà più diffusamente anche di “cura”. E questa cura, a naso, si chiama nel linguaggio della nuova psicologia:
>>>mindfulness. Quella qualità di attenzione focalizzata nel presente che ti permette di renderti conto di ciò che accade intorno a te, dentro di te. Nel caso dello studio pubblicato da Science, l’attenzione durante i gesti e le attività del quotidiano. Quello che i due psicologi hanno richiesto al campione dei prescelti all’esperimento è stato un atto di attenzione consapevole, fatto di proposito – mindfulness – che permettesse loro di rendersi conto 1) che la loro mente vagava 2) in quale occasione di preciso 3) che cosa stavano provando. Attenzione alla sfera del fare, a quella del pensiero e del sentire.
E l’attenzione a chi sono mentre fanno, pensano e sentono… bhé magari questo sarà materia della prossima ricerca a venire.
tratto da
http://www.elsamasetti.it/