Segnali distensivi tra Occidente e Medio OrienteLo scorso 26 febbraio Teheran ha ufficializzato l’invito al Ministro degli Affari Esteri italiano, Franco Frattini, per discutere di temi come le relazioni bilaterali tra i due Paesi e la stabilizzazione della regione mediorientale. La notizia è arrivata in un momento in cui l’Iran sembra compiere timidi passi avanti verso la reintegrazione nella Comunità Internazionale, dopo anni di divergenze. In verità, già due settimane fa era stata l’Amministrazione statunitense guidata dal nuovo Presidente Obama a lanciare dei segnali distensivi nei confronti del regime degli Ayatollah, cui però Ahmadinejad aveva freddamente reagito, dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero dovuto prima “chiedere scusa dei crimini commessi in Medio Oriente”, con particolare riferimento al colpo di Stato degli anni ’50, che finì con l’ascesa al potere a Teheran di un governo filo-occidentale (fino al 1979, anno della rivoluzione di Khomeini), ma anche alla guerra in Iraq ed alla condizione della popolazione palestinese di cui, agli occhi di Ahmadinejad, è responsabile anche Washington.
La situazione potrebbe subire dei cambiamenti in positivo, dal momento che le potenze occidentali sembrano ormai aver preso piena coscienza del fatto che, senza il coinvolgimento dell’Iran, sarebbe impossibile una pacificazione regionale in Medio Oriente, soprattutto per quanto riguarda la risoluzione dei conflitti iracheno ed afghano. Proprio il Ministro Frattini, durante la sua visita a sorpresa dei giorni scorsi al contingente italiano impegnato in Afghanistan, aveva dichiarato che sarebbe stato auspicabile un coinvolgimento diretto dell’Iran nei negoziati per la fine delle ostilità in Afghanistan. Del resto lo stesso messaggio di congratulazioni recapitato ad Obama da parte di Teheran dopo la sua elezione, sembrava aver segnato un importante passo avanti verso il ritorno a politiche più conciliatorie.
All’orizzonte appaiono però ancora degli ostacoli: prima di tutto l’Iran sembra proseguire con il suo programma nucleare, nonostante le rimostranze degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali (ma anche dei maggiori Paesi arabi, preoccupati per una possibile destabilizzazione della regione in caso di un Iran in possesso di tecnologia nucleare) e, inoltre, si aspetta con ansia l’esito delle elezioni presidenziali del prossimo 12 giugno per la successione ad Ahmadinejad. Il fronte riformista ha candidato l’ex Presidente Khatami, che però appare troppo debole nei confronti della seconda candidatura di Ahmadinejad, appoggiata dalla Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei.
In un Paese di stampo teocratico quale l’Iran, infatti, l’influenza della Guida Suprema, vero Capo dello Stato, va ben oltre le sensibilità della popolazione e, pertanto, sembra difficile che un candidato appoggiato da Khamenei possa risultare sconfitto alle urne. Se con una vittoria di Khatami il riavvicinamento all’Occidente sembra più probabile, c’è però anche da dire che l’Iran, per una particolare congiuntura anche economica, non possa sopportare ancora per molto l’isolamento cui è sottoposto attualmente. Il prezzo del petrolio, dai cui introiti derivano le principali entrate statali, è notevolmente sceso sui mercati internazionali, costringendo Ahmadinejad a prendere delle misure adeguate, nel momento in cui il Paese non potrebbe più far fronte alle notevoli politiche di sussidi intraprese per alleviare il malcontento generale. In questo clima, anche se Ahmadinejad dovesse essere confermato alla guida del Paese, potrebbe scegliere di seguire politiche più conciliatorie con la Comunità Internazionale. L’invito al nostro Ministro degli Esteri potrebbe rappresentare un piccolo passo in questa direzione.
da buonenotizie.it