Ho ben poco da dire.
Giunto dove sono giunto non c’è certezza alcuna. La sola certezza è che sappiamo ben poco di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di quel che ci accade e del perché conduciamo una vita come quella che stiamo vivendo. In realtà, non conduciamo nulla, perché sarebbe più preciso dire che siamo condotti da qualcosa di cui non conosciamo l’origine.
E’ come essere nella carrozza di un treno che procede veloce. Le forme, fuori dal finestrino, sembrano correre in un susseguirsi inarrestabile. Pare di essere fermi, seduti comodamente, mentre tutto, fuori di noi, si muove rapidamente. Di tanto in tanto, il treno si ferma e allora possiamo osservare con più attenzione quello che accade fuori dal finestrino.
La sensazione che il tempo scorra e con esso tutte le cose sembra convincere molti. Ma è davvero in questo modo? Cosa accade se la mente si ferma? Tutto sembra arrestarsi con essa. La mente è quel treno che corre veloce.
Di tanto in tanto si arresta, e così il paesaggio diventa più nitido. Non passa molto, però, che la sua corsa folle riprende verso una destinazione del tutto sconosciuta. Cosa ci sarà alla fine della corsa? Questa è la domanda che raramente ci si pone.
L’arrestarsi temporaneo alle stazioni ci permette di riprendere fiato, ma solo per rendere l’illusione di quel che verrà apparentemente ancora più affascinante. Il movimento è inseparabile dal tempo. Quando non c’è più tempo, cosa rimane?
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Siamo abituati a considerare il tempo come vita, e la dimensione del tempo che si arresta come morte. Da un certo punto di vista è così. Quando il tempo si ferma qualcosa muore.
Abbiamo l’impressione di morire perché la mente non può sopravvivere fuori del tempo. Così, dovremmo chiederci: che cosa muore?
Ogni aspetto del nostro vivere sociale si fonda sul correre frenetico all’inseguimento di chissà quale cosa. Una continua lotta contro il tempo. Buffo, vero? Il tempo è la mente e noi corriamo contro il tempo… Forse da qui nasce l’angoscia. L’angoscia di combattere contro qualcosa che non si conosce e che si sa di non poter sconfiggere… Come certi incubi notturni.
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Vi siete accorti di come si cade in quello stato chiamato “noia” quando ci sembra non ci sia niente da fare? La nostra mente, che è continuamente operosa, si affanna di continuo alla ricerca di stimoli, eccitazioni di qualunque genere.
Ma, noi, abbiamo realmente bisogno di tutto questo trambusto?
Vi siete accorti di come siamo noi a creare i problemi? Ci sono dei fatti che accadono, questa è una cosa, poi ci sono i problemi che noi mettiamo sopra i fatti, e questa è altra cosa.
Siamo pieni di preoccupazioni e paure. Anche questo è un fatto.
Vorrei porvi una domanda: cosa fareste se non doveste lottare sempre contro qualcosa?
Contro il dolore, le difficoltà che incontrate, la malattia…
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La mente umana è un formidabile strumento, forse il più complesso tra quelli che costituiscono la vita dell’uomo. Stiamo cercando di vedere se è ancora quell’organo al servizio dell’intero organismo, come dovrebbe essere o se siamo noi ad essere diventati suoi strumenti.
Ci stiamo interessando di vedere cosa accade in noi quando proviamo dolore, rabbia, amore, invidia, e quant’altro ci trascina nel vortice dell’esistenza.
Dobbiamo vedere dentro di noi direttamente, se siamo noi gli artefici di quello che ci accade oppure no. Formulo la domanda in altro modo : “Sono realmente soddisfatto di come stanno andando le cose nella mia vita, oppure sento un disagio in fondo a me stesso?”
Vi siete accorti di come siamo noi a perpetuare il dolore? Forse no. Non è così semplice.
Naturalmente non stiamo negando le circostanze che portano dolore nella nostra vita. Stiamo solo dicendo che quelle circostanze sono dei fatti. Fatti ai quali dobbiamo dare risposta con l’azione. Stiamo dicendo che se al fatto oppongo il mio desiderio o la mia aspettativa, la mia rassegnazione o la mia paura, cosa sto facendo? Non sto forse muovendomi nel passato o nel futuro? Non sto forse opponendo al fatto la struttura psicologica che mi caratterizza? Ma non è questa stessa struttura che si oppone a lasciare andare quel fardello di dolore? Riesco a vedere tutto ciò oppure sto ancora credendo che la causa del mio disagio proviene dall’esterno?
Esiste un modo per liberarmi dalla schiavitù di questa condizionata struttura psicologica?
Cosa accade se, davanti ad un fatto, qualunque esso sia, agite prontamente, con mente concentrata e tranquilla, senza separarvi dal fatto stesso, offrendo il meglio di voi alla situazione fino al punto da non sapere nemmeno più chi siete? Appare il dolore? Appare la negazione? Appare il desiderio? Infine, appare la paura?
Vi dico di no. C’è il fatto e ci siete voi. Non aggiungete altro. L’altro che aggiungete, qualunque cosa sia, è di troppo. Tra voi e il fatto non ci deve essere nulla.
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Quando veniamo al mondo, la prima esperienza che facciamo è quella della sofferenza. Dobbiamo imparare in fretta a respirare, veniamo in contatto con la luce, i suoni, il freddo e il caldo…….abbiamo bisogno di strillare per fortificare le corde vocali, muscoli e ossa devono allungarsi e tante altre cose che costituiscono la crescita. Poi vi è il dolore dell’incomprensione, le prime esperienze e via di seguito.
Questo vale per tutti, poi ci sono le caratteristiche ereditarie, le malattie, l’ambiente familiare, i rapporti, le prime sconfitte e delusioni. Un elenco immenso di difficoltà che creano dolore. Senza voler considerare l’ambiente e le circostanze della nostra nascita, anche la storia dell’intera umanità pesa sulle nostre spalle….insomma, mi pare evidente di come un “corpo di dolore” si costituisca all’interno della nostra struttura psicologica.
Senza che ve ne accorgiate questo “corpo di dolore” vi trascinerà verso il basso in tutte le cose che farete. Nei rapporti sentimentali, in quelli con i figli, gli amici, nel lavoro e anche nello svago. In questo modo risponderete sempre alle circostanze, influenzati da quel “corpo di dolore” che è in voi.
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Forse, per vederci più chiaro, dovremmo prendere più spazio. Come possiamo darci più spazio? Invece di concentrarci sui problemi che crediamo di avere, dovremmo cercare chi genera i problemi.
Per darci più spazio intendo: prendere distanza dai pensieri che si manifestano, prendere distanza dai desideri che sorgono. Questo non significa non avere pensieri o desideri, solo prenderne distanza. Prendere distanza è vedere più chiara la faccenda.
Le opinioni che abbiamo su questo e quello condizionano il nostro modo di agire. Seguendo le nostre inclinazioni che si basano su convinzioni, speranze, e il dolore nascosto da qualche parte in noi, prendiamo decisioni e agiamo.
Ma sarebbe più opportuno dire: reagiamo. Noi siamo gli esecutori, ma il mandante chi è?
Il desiderio, il pensiero, la sensazione, tutto fa capo a quel fantasma che chiamiamo ego. Questo è il mandante. Ma il mandante è buono o è cattivo? Nessuno dei due. Il mandante è semplicemente disorientato dal continuo movimento della mente.
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Le idee che ci facciamo su ogni cosa ci impediscono di vedere e di ascoltare la cosa in sé, così com’è.
Vedete come etichettiamo tutto! Siamo talmente condizionati dalle etichette, che non scorgiamo più il prodotto che ci viene servito. Non vi accorgete che cambiando l’etichetta vi stanno fregando un’altra volta. Vi servono qualcosa di vecchio con l’etichetta di ciò che è nuovo.
Vengono usate parole nuove per servirvi “roba” scaduta da tempo. Togliete l’etichetta che avete messo addosso a vostra moglie, a vostro marito o ai vostri figli e guardate il fatto reale, la persona che vi sta vicino.
Scoprirete una cosa straordinaria! Proprio quando perdete una persona cara vi accorgete quanto era in realtà preziosa per voi.
Cos’è accaduto? Avete gettato quell’etichetta e vi è rimasto quello che era la persona per voi. Ecco il segreto di Pulcinella… A nessuno piace essere etichettato, e se lo avete fatto per anni con il marito, la moglie, i figli, i genitori, allora state certi che prima o poi quella persona si ribellerà e vi abbandonerà. Questo non significa che non vi ama più, ma solo che era stanco di portare quell’etichetta.
Togliete i pregiudizi che avete cristallizzato sulle cose e sulle persone e vedrete come l’ordinario diventa straordinario. Credete sia facile? Credete sia difficile? No. Provate. Fate. Non pensate. Non giustificate. Fate. Togliete quell’etichetta e amate la persona che vi sta davanti, senza passato, senza futuro, senza nulla che si interponga tra voi e ciò che amate.
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Quante volte vi sarà capitato di sentire una voce dentro la vostra testa dire: “Ah! Quella cosa la conosco! Quella cosa la so! “ Ma sappiamo solo qualcosa di quello che è stato, qualcosa di quel che avete ascoltato, non di ciò che sta lì davanti a voi…
“Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Nulla!,” dice Quelet, profeta del Vecchio Testamento. “Tutto ciò che ho visto sotto il sole è solamente vanità.” Forse Quelet asseriva il vero, ma è anche vero che nel qui ed ora, nell’attimo presente, ogni cosa è splendente e pura così com’è. Perché? Perché non c’è mente, non c’è tempo, non c’è spazio delimitato dalla coscienza.
Se non c’è tempo, se non c’è spazio delimitato dalla coscienza, dove potrà mai insinuarsi il male?
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La ragione che ci spinge verso la schiavitù, verso l’impasse del bene e del male, è che a questa struttura psicologica non piace il presente.
Dobbiamo chiederci il perché di questo. Non ci piace la nostra vita.
La nostra vita
è la vita, questo è un fatto, non è quello che crediamo essere.
A noi esseri umani piace il futuro. Ad esso affidiamo ogni nostra speranza. E se siamo depressi invece, ci rifugiano nel passato, nei ricordi di quello che è stato.
Perché questa mente, così abile, così terribilmente fertile ed evoluta, non è in grado di arrestare la sua corsa? Vi siete accorti cosa accade quando la notte non riuscite a prendere sonno? Le voci nella testa si susseguono senza fine e il corpo reagisce a questi stimoli. Se state pensando a qualcosa di terribile, il corpo inizia a sudare, i muscoli si tendono, tutto il corpo reagisce, rispondendo fedelmente alla richiesta della mente. E’ così che si soffre d’insonnia: non si riesce a staccare la spina che alimenta la mente.
Pure, quando ci capita di fare realmente qualcosa, quando l’azione è senza calcolo, senza scuse, quando scaturisce da qualcosa che sentite essere più profondo del pensiero, allora ditemi, non vi sentite forse felici ed entusiasti? Certo è così. E’ così per tutti.
Quando non è così, si dà vita ad un falso modo di vivere fondato sui ricordi, sulle speranze, sui sensi di colpa. E’ qualcosa che intossica il corpo e la mente, perché va proprio nella direzione opposta all’essere.
A mio avviso non c’è alcuna verità nascosta o svelata, ci sono solo superstizioni che servono a tenere ben salda la sedia del potere.
Voi sostenete quel potere. Come?
Nutrendo fiducia in quello che gli altri vi dicono credendo senza sperimentare, affidando la vostra vita ad un futuro che proviene dal passato. Lo sostenete perché non avete fiducia in voi stessi, non credete in quel che siete e in quel che fate.
Lo sostenete perché non credete. Avete bisogno di un oggetto a cui fare riferimento, in cui sperare, di cui ricordarvi.
Credere è invece senza oggetto, è il mirabile flusso di energia che tutto avvolge e nel quale siamo immersi. Figli e padri non respirano forse la stessa aria? Non ci è stato detto che spartiscono lo stesso pane? Eppure, si ha sempre paura di qualcosa… e lo spirito rimane solo un concetto astratto.
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Quando ci sediamo incrociando le gambe ed assumendo la posizione simile a quella tenuta dal Buddha, facciamo la stessa cosa che ha fatto Lui : Lasciamo andare la paura a se stessa, lasciamo andare la brama a se stessa, lasciamo andare la vanità a se stessa, lasciamo andare l’avidità a se stessa, lasciamo andare il desiderio a se stesso.
Di cosa abbiamo bisogno quando ci sediamo nei nostri ritiri?
Di niente.
E perché non si ha bisogno di niente?
questa risposta dovrete arrivare da soli.
Grazie.
Roberto Kengaku Pinciara
tratto da
http://www.komyoji.eu/home.htm